domenica 23 aprile 2017

Ho letto "Continua a camminare"

Stamattina, come sempre, mi sono svegliata presto. Avevo anche mal di testa: pastiglia, balsamo alpino, e decido di ritornare sotto le coperte per finire il libro iniziato due giorni fa. Premetto che ho il comodino sommerso di libri da leggere, mi riprometto continuamente di non comprare nuovi libri fino a quando la torre di quelli in coda per essere letti non si abbassa. Però non è colpa mia, un po' alla Davide Calì in "Non ho fatto i compiti perché...", venerdì scorso sono andata da Cartamarea per incontrare Elisa, non avevo intenzione di comprare nulla, se non un fumetto per Samuele; Rossella stava vuotando gli scatoloni con i libri appena arrivati e quando ha preso in mano "Continua a camminare" mi ha detto: "Angela ha scritto su facebook che bisogna leggerlo".  Se bisogna leggerlo, se è un libro necessario, non posso mica tirarmi indietro, e poi l'autore lo conosco, mi piace. E così il libro è venuto a casa con me, a scatola chiusa, non conoscevo l'argomento, non avevo letto alcuna recensione, semplicemente l'ho aperto e ho iniziato a leggere. Questa non è una recensione, non è un post in cui vi racconterò la trama ma solo le mie sensazioni, ciò che ho provato mentre lo leggevo, e ve ne regalo un pezzetto, o meglio: Gabriele ve lo regala, io ho solo fatto copia/incolla di una mezza pagina per farvi capire a cosa mi son trovata di fronte la sera, nel letto, pensando "ora mi leggo una storia".
La colonna si ferma. Di nuovo."Cosa c'è?" "Non lo so" fa papà. C'è qualcuno che corre, laggiù, e gli altri lo seguono. Fanno gesti, chiamano altra gente. Qualcuno è a terra nella sabbia. È caduto. Forse si è sentito male. Il sole è caldissimo oggi, più di ieri. Ti si schianta sulla testa che pare che te la spacchi se non la copri bene. Non tutti però hanno da coprirsi. Qualcuno ha la kefiah, altri si legano un fazzoletto sulla fronte; qualcun altro il fazzoletto non ce l'ha e si è arrangiato con della plastica recuperata da qualche parte. Ma la plastica si scioglie, col caldo, e la testa diventa come un uovo che si cuoce dentro. Forse è quello che è successo, a quello deve esserglisi cotta la testa. Mi siedo sul mare bollente della sabbia e guardo verso dove stiamo camminando. La nostra pista. Continuo a non vederla ma so che c'è, è lì, sotto la sabbia, che a volte appare quando il vento se la porta via. In fondo, l'orizzonte. Vuoto. Dappertutto. Sembra un cerchio, se giri l'occhio intorno, da un lato all'altro, un cerchio tutto uguale, come il mare. E oltre a quel cerchio, e a quel mare,  oltre a tutto, l'Europa. Mi chiedo se qualcuno là in Europa sa che adesso siamo qui. E camminiamo. Come me, come papà, e tutti gli altri, anche quello steso là per terra, che camminava insieme a noi prima che la testa gli si cuocesse dentro. Mi chiedo se lo sanno là in Europa. Ma è difficile anche solo immaginarlo. Forse neanche io, se non fossi proprio qui, ci riuscirei. Quello intanto continua a non muoversi. Gli altri parlano, gesticolano, e mentre lui se ne sta sdraiato il vento lo copre con la sabbia, piano piano, gliela stende sopra come un velo. Perché nessuno gliela scuote via? Poi papà ritorna. Allora? Gli domando con un cenno. "Continua a camminare" mi fa lui. "E quello?" Papà non mi risponde. Alza le spalle, solamente, che altro c'è da dire? "Continua a camminare" mi ripete. Ci rimettiamo in marcia. L'uomo lo lasciamo là, disteso, così come è caduto. E mentre mi allontano non sembra neanche più che la sabbia lo ricopra, sembra diventato lui di sabbia. Pare una duna, una duna come le altre in un deserto che, di dune, ne avrà almeno un miliardo.
Però non era una storia, non una di quelle che si leggono con piacere prima di addormentarsi, non era una favola dal lieto fine, (anche se a me il finale infonde speranza), insomma era, anzi è, un pezzo di storia vera, di storia dei giorni nostri, quella che ogni giorno vediamo o cerchiamo di evitare cambiando canale. Non ho pianto, diversi libri mi hanno fatto piangere così tanto da non riuscire più a intravedere le lettere sulla carta, ma ciò non significa che non sia una storia triste. Mi sono sentita impotente, ho provato paura, mi sono chiesta come certe scene potessero essere accadute davvero per quanto parevano surreali. Il libro mi ha fatto più "impressione" di mille immagini trasmesse dalla tv o pubblicate sui siti di notizie web. Perché un'immagine o un video ce lo ritroviamo davanti agli occhi, qualcuno lo ha confezionato per noi, è in grado di suscitare emozioni come rabbia, paura, tristezza, ci può fare sentire impotenti e talvolta, a lungo andare, crea pure assuefazione. Non fa più effetto, vedere ogni giorno immagini terribili, diventa "normale" e vederle in tv per i bambini a volte è strano: io a mio figlio, che tra poco compirà 10 anni, devo spiegare ogni volta cosa è vero e cosa no. Questo è un telefilm, i "buoni" stanno inseguendo i "cattivi" per ucciderli ma non è vero, fanno tutto per finta. Questo invece è il telegiornale, purtroppo un forte terremoto ha distrutto una cittadina e sono morte delle persone, sono morte per davvero. 
Quando leggi la mente viaggia e si trasferisce nel luogo dove è ambientata la storia, e si immagina, ci si immedesima. Si provano le stesse emozioni, sensazioni che provano i protagonisti.
E quindi niente, non so che dire di questo libro se non che mi ha fatto riflettere, non che io non lo abbia mai fatto, mi ha fatto pensare alle persone che in questo momento stanno camminando in cerca di un posto in cui vivere perché nel loro Paese in questo momento non si può vivere ma solo cercare di sopravvivere, un Paese dove la morte è davvero dietro ad ogni angolo e non sai se il passo successivo ti lascerà vivo o no. 
Ma soprattutto un libro che mi ha fatto pensare a tutte le persone che ogni giorno postano su facebook frasi inneggianti all'odio e all'egoismo, a chi ce l'ha con gli stranieri a cui vengono dati cibo, soldi, case, lavoro e altro che potrebbero essere dati agli italiani. Io non ho intenzione di salvare il mondo, non voglio sembrare una persona buona solo perché talvolta mi schiero dalla parte dei più deboli. Semplicemente a volte mi metto nei panni degli altri e questo libro mi ha fatto soffrire. Mi ha fatto male. Leggere certe pagine è stata dura, durissima, è un libro tosto, non lo sapevo. Mi chiedo come abbia fatto Gabriele Clima a scrivere alcune scene. C'è chi nei libri descrive l'abito di una principessa, con tanti particolari che permettono di vederlo con gli occhi della fantasia, e chi descrive un essere umano che esplode e si spacca in mille pezzi...
Ora me la vado a leggere quella recensione in cui è scritto che è un libro necessario, sì lo penso pure io che sia un libro che deve essere letto, non dovremmo dimenticarci di quello che accade non troppo lontano da noi, e non perché dobbiamo ritenerci fortunati di avere una casa, vestiti, no: non mi piacciono questi discorsi. Deve essere letto per immaginare, immedesimarsi, per essere consapevoli di cosa accade nel mondo. La recensione non la so scrivere perché questo libro mi ha lasciato un gran garbuglio di sensazioni, (dolore), ed emozioni.
Leggetelo, è un libro "bello" anche se fatico ad associare questo aggettivo a una storia di guerra. Leggetelo per capire quanto grande è la responsabilità di noi adulti nei confronti dei bambini che ci considerano persone di riferimento, si fidano di noi, di ciò che facciamo. È scritto davvero benissimo, le parole scivolano via. Non mancano scene dolcissime e piene d'amore.

1 commento:

  1. ohhh... *temo* di dorverlo leggere.
    Anche io ho avuto occasione di conoscere di persona l'autore e non mi stupisco dei tuoi giudizi su questo suo libro.

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